LONG LIFE 2016

L'aspettativa di vita si allunga: fino a 120/ 150 anni. Nasce una nuova disciplina: la silver economy. E si amplia l'offerta di prodotti di rispamio per creare un "quarto reddito". Ma mentre si vedono importanti progressi nella lotta a patologie gravi, cresce il rischio di nuove malattie. Ma l’anziano è ancora il saggio del villaggio: il confronto con le altre specie animali. Cinema e letteratura scandagliano i sentimenti della quarta età

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La ricetta per investire sulla vita che si allunga
Elisa Vannetti/ 21 giugno, 2016
Pensioni, finanze, risparmi. I rischi di vivere fino a 150 anni

Si chiama longevity risk, e intacca le pensioni, la sostenibilità delle finanze pubbliche, e i redditi personali. È la preoccupazione degli economisti che si occupano dell'allungamento delle aspettative di vita. Perchè è un problema serio



Vivere più a lungo è la conquista che, da sempre, l’umanità sogna di raggiungere. Ma a livello economico le implicazioni potrebbero essere devastanti. Gli economisti lo chiamano longevity risk, letteralmente “rischio di longevità”. Ed è un problema che accomuna non solo le più grandi economie del mondo, ma anche i Paesi emergenti e in via di sviluppo.

E’ il rischio legato all’allungamento dell’aspettativa media di vita e al suo corollario che postula un generale invecchiamento della popolazione globale, e ai relativi effetti che questi mutamenti demografici, nel lungo periodo, potrebbero apportare alla società, alle finanze pubbliche e ai delicati equilibri dello stato sociale.



“In tutto il mondo sorgeranno problemi di produttività e pensionistici che condurranno a un rallentamento dell'economia globale, con una crescita ridotta e tassi di interesse molto bassi.

Dovremo abituarci a questa situazione”, avverte Walid Azar Atallah (foto in basso), Thematic Equity Fund Manager di CPR AM, la società controllata da Amundi sgr specializzata nella gestione azionaria tematica, e con una linea di fondi di investimento dedicati proprio a questi macro-trend.


I dati

Il pericolo che uno stravolgimento degli equilibri economico-finanziari si manifesti è tutt’altro che futuribile: i trend demografici sono già in atto e sembrano essere ormai inarrestabili. Le ultime stime disponibili sul futuro della popolazione mondiale diffuse dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e risalenti a luglio 2015, fotografano una situazione di costante crescita.

Dagli attuali 7,3 miliardi di abitanti, infatti, si dovrebbe raggiungere la soglia degli 8,5 miliardi entro il 2030 per arrivare ai 9,7 nel 2050.

Solo nel 2100, invece, la Terra sarà popolata da oltre 11 miliardi di persone. Ma saranno per lo più anziani: a livello globale, infatti, il numero di persone con più di 60 anni dovrebbe più che raddoppiare entro il 2050, passando da circa l’11% al 22%, e più che triplicare entro il 2100.

E si prevede che il numero assoluto di persone di età superiore ai 60 anni aumenterà da 605 milioni a 2 miliardi nello stesso periodo.

In Italia, in particolare, secondo le stime diffuse recentemente dall’Istat, il rapporto pende già in favore delle fasce di popolazione senior: ogni 100 giovani con meno di 15 anni ci sono 161 anziani che superano i 65.


La Società

Uno dei problemi principali legati all’invecchiamento della popolazione è relativo alla sostenibilità delle finanze pubbliche nel lungo periodo. Secondo Standard & Poor’s, che ha recentemente pubblicato i risultati della ricerca Global Aging 2016: 58 Shades Of Gray, infatti, se i governi delle principali nazioni del mondo non metteranno in atto politiche aggiuntive volte a ridurre la spesa in sanità e assistenza degli anziani il debito pubblico, entro il 2050, salirà fino a rappresentare il 134% del Pil (nelle economie avanzate). 

Raggiungendo la soglia del 136%, invece, nei Paesi emergenti.

Questo porterà, si legge ancora nel rapporto, a un generale e significativo ridimensionamento del rating assegnato a ogni paese, comprese le principali economie del mondo. Entro il 2050, infatti, oltre un quarto dei 58 Paesi analizzati dall’agenzia americana avranno un rating pari o inferiore a “BB+”.

Con la conseguenza che le emissioni a reddito fisso saranno considerate titoli speculativi, dalla  solidità incerta, molto sensibili, quindi alle circostanze avverse del ciclo economico.


Pensioni a rischio

Anche il sistema pensionistico, qualora i trend demografici ipotizzati risultassero corretti, potrebbe arrivare al collasso. “Riguardo ai regimi pensionistici pubblici, su di essi continua a gravare il processo di invecchiamento della popolazione, che è soggetto a margini d’incertezza significativi e determinerà ancora a lungo una sproporzione tra il numero di baby-boomers che giungono al pensionamento e quello di nuovi lavoratori”, ha sottolineato a fine dicembre Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia in una lectio magistralis dal titolo "Il rischio di longevità e i cambiamenti dell’economia".

Il rischio, dunque, è serio: se ci saranno più pensionati che lavoratori, gli introiti provenienti dagli stipendi dei dipendenti non basteranno a garantire un assegno mensile a tutti coloro che già hanno raggiunto l’età della pensione.

Una tendenza che è già in atto: nel 1974, per esempio, l’incidenza della spesa pensionistica sul Prodotto interno lordo italiano era dell’8,2%. 

Oggi, invece, secondo i dati del rapporto annuale dell’Istat, ha già superato il 17%.


Rendimenti in bilico

Il fatto che viviamo più a lungo implica necessariamente anche che avremo bisogno di una quantità maggiore di capitale per sostenere un pensionamento prolungato.

Ecco, dunque, che i macro-trend demografici incideranno anche direttamente sugli investimenti e sui loro rendimenti.  “L’allungamento delle aspettative di vita e l’invecchiamento della popolazione ha iniziato a pesare sui regimi pensionistici per i quali il livello dei tassi di interesse a lungo termine è fondamentale per generare performance”, spiega Walid Azar Atallah, “questo è uno dei principali motivi per cui stiamo assistendo alla ricerca di asset e strategie con maggiori potenzialità di rendimento come private debt e debito per infrastrutture da una parte e, dall’altra, asset più liquidi come i titoli azionari in generale e in particolare le azioni legate ai trend di sviluppo secolari perché tendono a identificare fonti di crescita a lungo termine e a investire su di esse”.

  L’alternativa ai bassi rendimenti, dunque, consiste nel modificare non solo la composizione del portafoglio, ma anche l’orizzonte temporale dell'investimento.

Chiarisce Walid Azar Atallah “fino ad ora investire con un orizzonte prefissato comportava possedere un’elevata esposizione all’azionario all’inizio del ciclo, diminuendola nel tempo a favore di asset meno rischiosi come il reddito fisso”. Ma nell’attuale contesto a tassi di interesse bassi, questo schema potrebbe non essere più la soluzione migliore.

“È difficile misurare l'aumento del proprio orizzonte  di investimento”, conclude, “ma è certo che i singoli dovrebbero iniziare ad investire il prima possibile al fine di costruire un risparmio sufficiente per sostenere la propria pensione”.

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