LONG LIFE 2016

L'aspettativa di vita si allunga: fino a 120/ 150 anni. Nasce una nuova disciplina: la silver economy. E si amplia l'offerta di prodotti di rispamio per creare un "quarto reddito". Ma mentre si vedono importanti progressi nella lotta a patologie gravi, cresce il rischio di nuove malattie. Ma l’anziano è ancora il saggio del villaggio: il confronto con le altre specie animali. Cinema e letteratura scandagliano i sentimenti della quarta età

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La ricetta per investire sulla vita che si allunga
Elisa Vannetti/ 21 giugno, 2016
Alzheimer: cosa si può fare per prevenirlo

La vita si allunga e l’Alzheimer è tra le malattie che spaventano maggiormente chi entra nella terza età. A differenza però di quanto ritenuto fino ad alcuni anni fa, si tratta di una patologia multifattoriale, che è possibile prevenire mediante il controllo dei fattori di rischio e la combinazione di trattamenti farmacologici e non farmacologici: la stile di vita può incrementare efficacemente il processo di neuro protezione. A spiegarlo è il Prof. Alessandro Padovani



L’aspettativa di vita è aumentata negli ultimi decenni e si allungherà ulteriormente. E il sogno di tutti è trascorrere la terza età per quanto possibile sani, così da goderne nel migliore dei modi. Tra le patologie maggiormente temute, dopo cancro e malattie cardiovascolari, figura l’Alzheimer, causa più comune di demenza associata ad una malattia neurodegenerativa progressiva. Per questo OF ha scelto di approfondire le ultime novità in materia grazie al contributo del Prof. Alessandro Padovani, Direttore della Clinica Neurologica dell’Università degli Studi di Brescia.


padovani

Of: quali sono i numeri che caratterizzano la malattia?
Padovani: Gli affetti da demenza sono circa un milione/un milione e duecentomila soggetti in Italia, di questi si stima che circa 700.000 siano malati di Alzheimer. Un numero stabile, dovuto da un lato all’aumento legato all’invecchiamento della popolazione, dall’altro ad una riduzione dell’incidenza grazie ad un maggiore controllo dei fattori di rischio e al miglioramento della qualità della vita. Nel mondo, la prevalenza stimata di questa malattia nel 2015 è stata di 44 milioni di persone e si prevede che questa cifra raddoppierà entro il 2050 (Van Cauwenberghe C et al., Genetics in Medicine 2015). In Italia non si stima però un aumento così consistente, che si concentrerà in primo luogo nei Paesi dove ancora deve allungarsi l’aspettativa di vita. Nel 75% dei casi, la malattia si manifesta oltre i 70 anni di età.

Of: E quali sono le cause?
Prof. Padovani: La malattia è principalmente associata ad un accumulo di beta-amiloide e all’iperfosforilazione della proteina tau nonché a una diminuzione dei livelli di acetilcolina e una riduzione del flusso ematico cerebrale. Rispetto ad alcuni anni fa c’è maggiore ottimismo, basato sulla consapevolezza che essa non sia incontrastabile, in quanto legata non solo a fattori somatici e ad una predisposizione genetica ma anche a fattori ambientali.

Of: In relazione a questi ultimi, cosa si può fare per prevenirne l’insorgere?
Padovani: La dieta mediterranea, la restrizione calorica, l’attività fisica, la stimolazione cognitiva e la socializzazione hanno un ruolo importante nella prevenzione della malattia.

Of: Cioè, in che modo?
Padovani: La prima, in particolare, può migliorare la neuro protezione poiché si basa sul basso apporto di acidi grassi saturi, su un elevato apporto di acidi grassi insaturi e polifenoli, i quali, oltre a ridurre i livelli di colesterolo (uno dei principali fattori di rischio per l’Alzheimer), sono in grado di interferire con l’aggregazione amiloide; gli acidi grassi monoinsaturi hanno invece effetti antiossidanti e anti-infiammatori.

Of: Poi, c’è altro che possiamo fare?
Padovani: Un’altra dieta correlata ad un’azione neuro protettiva è quella asiatica, basata su thè verde, curcumina e ginko biloba, dall’effetto antiossidante e anti-infiammatorio. Un fattore di rischio è invece la dieta occidentale, tendenza verso la quale si stanno orientando anche gli italiani, perché caratterizzata da un livello eccessivo di zucchero e grassi saturi. È bene tenere presente che l’obesità, o meglio il grado di adiposità, rappresenta un fattore di rischio anche per l’Alzheimer.

Of: L’alimentazione è l’unico rimedio?
Padovani: No. Un numero consistente di evidenze ha fatto inoltre emergere come si possa contrastare la malattia con un trattamento preventivo con antiossidanti e farmaci anti-infiammatori. E ancora le patologie neurodegenerative (come ad esempio anche il Parkinson) possono essere favorite dal controllo della situazione microbiota. Nel caso dell’Alzheimer sono in corso sperimentazioni attraverso stimolazione neuronale magnetica (TMS) o attraverso correnti elettriche (TDCS), che oltre a riattivare networks neuronali potrebbero stimolare cellule staminali autoctone, ma si tratta di uno scenario futuristico.

Of: Ci sono già alcune certezze?
Padovani: È dimostrato invece, come accennato, che la maggiore scolarizzazione, la socialità, i rapporti umani incidano positivamente nella prevenzione. La solitudine rappresenta un fattore di rischio per l’Alzheimer ma anche per depressione, obesità, diabete, ipertensione e cancro. D’altro canto, è importante il controllo, cresciuto negli ultimi anni, sui fattori di rischio: ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari.

Of: per quanto riguarda invece gli studi in ambito farmacologico?
Padovani: Non ci sono al momento farmaci in grado di modificare o arrestare il decorso clinico della malattia. Sono però numerosi gli studi in corso in Europa legati a farmaci biologici, nell’ambito dei quali è coinvolta la rete dei Centri Alzheimer italiani. La ricerca può essere suddivisa in due categorie: su trattamenti sintomatici come inibitori dell’acetilcolinesterasi e antagonisti del recettore N-metil-D-aspartato e trattamenti “disease-modifying”, ovvero terapie dirette contro i principali meccanismi neurodegenerativi che vedono come target l’amiloide e le alterazioni della proteina tau. In questo ambito vanno inclusi anche interventi in grado, da una parte, di intervenire su meccanismi associati all’Alzheimer e, dall’altra, strategie in grado di promuovere un’azione neuro protettiva.

Of: Ci sono già dei risultati concreti?
Padovani: Attualmente due sperimentazioni stanno fornendo risultati incoraggianti, i cui studi in fase tre (vedi studi clinici randomizzati in doppio cieco su popolazioni ampie di pazienti affetti da malattia di Alzheimer) si concluderanno per metà 2018.

Of: altre novità in materia?
Padovani: Certamente la possibilità di anticipare la diagnosi in epoca precoce, attraverso marcatori liquorali e mediante le neuro immagini (in particolare PET). Sempre più pazienti si presentano nelle fasi cosiddette prodromiche di malattia, ovvero con sintomi caratterizzati da sfumati disturbi di memoria o di attenzione, non sempre facilmente inquadrabili nei soggetti di età avanzata. In crescita è anche il numero di persone che desidera sapere se si ammalerà, in particolare chi ha un parente affetto dalla patologia (sebbene la forma familiare corrisponda a meno del 5% delle forme conclamate).

Of: Quindi si può prevedere se ci si ammalerà?
Padovani: Potrebbe essere un giorno possibile prevederne l’insorgere anche in una persona sana. L’approccio alla malattia dovrebbe mirare a valutare nel singolo il maggior numero di condizioni di rischio e predisporre un trattamento personalizzato che includa non solo interventi farmacologici ma anche interventi sugli stili di vita.

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