Le materie prime e soprattutto l’oro possono ancora rappresentare una forma di diversificazione del portafoglio?
E’ stato uno dei grandi vincitori del 2016. L’oro, sebbene negli anni abbia mostrato un andamento molto volatile, è ancora considerato da molti investitori come il più classico dei beni rifugio. Il rally al rialzo dello scorso anno, concentrato tutto nel primo semestre, è stato significativo: a febbraio, infatti, il metallo giallo ha superato la soglia psicologica dei 1.200 dollari l’oncia, per poi toccare, a luglio, il picco di 1.366 dollari. Un rialzo significativo, dopo 3 anni di continui ribassi, seppur lontanissimo dal record dei 1.920 dollari l’oncia raggiunto nel 2011. E infatti, nel corso del 2016, i fondi specializzati in metalli preziosi e oro hanno fatto registrare performance convincenti. Secondo Morningstar, solo negli ultimi 12 mesi, gli strumenti d’investimento dedicati ai metalli preziosi hanno attirato in Europa circa 11 miliardi di euro.
Ma il 2016 è stato un anno caratterizzato da due velocità. Nel trimestre finale, e soprattutto a seguito dell’elezione dell’imprenditore americano Donald Trump a nuovo Presidente degli Stati Uniti, infatti, si è assistito a una forte discesa dei prezzi. Tanto che oggi, a fine gennaio, dopo un piccolo boom iniziale, le quotazioni si presentano molto più ridimensionate (1.197,56 dollari l’oncia).
Ecco perché gli analisti si dimostrano prudenti nell’indicare le previsioni per il 2017. Tra i più pessimisti, per esempio, vi è Société Generale. La banca d’affari francese ha tagliato le sue stime sul prezzo medio del metallo prezioso nel 2017 portandole da 1.275 a 1.150 dollari l’oncia. In particolare, molto dipenderà dalle politiche di rialzo dei tassi che verranno operate dalla Federal Reserve nel corso dei prossimi mesi, essendo il metallo giallo inversamente correlato all’andamento dei tassi di interesse americani: più i tassi sono alti e più è probabile che l’oro si indebolisca.
Per il 2017 è necessaria dunque cautela. Da un lato, infatti, il lingotto, che oggi ha un prezzo interessante visto il recente sell-off, può mettere al riparo il capitale dall’inflazione, che è prevista in aumento. Dall’altro, però, non è nuovo a oscillazioni di prezzo anche significative. Sono bastati 4 anni, per esempio, per dimezzarne il valore: a settembre 2011 veniva scambiato a 1.900 dollari l’oncia. A dicembre 2015, quando è stato raggiunto il picco negativo, le quotazioni superavano di poco i 1.000 dollari.