I Titoli di Stato, dopo un 2016 deludente, tornano ad avere rendimenti con segno più. E’ definitivamente finita l’era dei tassi a zero?
Il turning point sembra essere stata l’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America. Anche se le motivazioni sono molteplici e includono le aspettative sull’aumento dei tassi di interesse da parte delle banche centrali. Da novembre dello scorso anno i mercati del reddito fisso hanno “archiviato” i rendimenti negativi, almeno sulle scadenze di lungo periodo.
In Italia, dopo un anno straordinario di tassi sotto-zero, i Titoli di Stato, almeno sulla parte lunga della curva hanno iniziato a offrire di più. La decisione della Banca centrale Usa di stabilizzare la politica monetaria, infatti, ha fatto salire anche la curva dei rendimenti delle emissioni governative europee. Il nuovo Btp decennale emesso a fine gennaio e con scadenza a giugno 2027, per esempio, è stato collocato con un rendimento del 2,37% (60 punti base in più rispetto all’ultima asta di dicembre). Nella stessa data, il Tesoro ha piazzato il titolo di Stato a 5 anni a un tasso annuo lordo dello 0,92%, in aumento di 38 punti base rispetto all'asta precedente. Diversa, invece, la situazione sul breve periodo: il Bot a 6 mesi zero coupon collocato a fine gennaio e con scadenza il 31 luglio 2017 è stato prezzato con rendimento del -0,286%. Il tasso è in aumento di 3 punti base rispetto all’asta precedente, ma resta comunque vicino al record negativo.
Ed è proprio l’aumento dei rendimenti degli strumenti obbligazionari che potrebbe rendere difficile la vita nei mesi a venire per chi detiene in portafoglio quote di bond governativi e societari. Finora, infatti, i tassi sotto-zero hanno permesso agli investitori di ottenere performance importanti, in alcuni casi anche a doppia cifra. Ma con l’aumento tanto atteso dell’inflazione e la nuova ventata di rialzo dei tassi di interesse (la Federal Reserve ha aperto le danze lo scorso dicembre con l’obiettivo di portare i tassi a quota 3% per il 2019) l’aumento dei rendimenti dei bond comporterebbe una riduzione del valore dei titoli già in circolazione.
Non a caso gli investitori sono diventati più prudenti sul reddito fisso, complice anche la crisi delle obbligazioni bancarie. Ecco perché gli analisti spiegano che detenere obbligazioni in portafoglio nel 2017 può essere per certi versi più rischioso che in passato. Quali alternative di investimento scegliere quindi? Gli asset manager continuano a suggerire di mantenere una componente obbligazionaria all’interno di un portafoglio diversificato, riducendone però la duration. Ariel Bezalel, gestore del fondo Jupiter Dynamic Bond SICAV, per esempio, spiega che è meglio evitare i titoli di Stato con scadenze più elevate, in quanto vulnerabili a ulteriori correzioni, soprattutto in Europa.
Con l’inflazione che è prevista in rialzo in tutta l’eurozona e oltreoceano, inoltre, una soluzione può essere rappresentata dai bond indicizzati al tasso di inflazione. Significa che, alla scadenza, il rimborso del valore nominale del capitale investito viene maggiorato da un rendimento indicizzato all'andamento del tasso di inflazione dei Paesi dell'area Euro. Quindi, qualora si verificassero situazioni deflazionistiche, come quella in cui ci troviamo adesso, al momento del rimborso si potrebbe erodere il montante della rivalutazione del capitale maturato.
Alcuni gestori, poi, guardano con crescente interesse ai bond high yield, emissioni societarie caratterizzate da un rendimento della cedola più elevato dovuto al limitato merito creditizio dell’emittente.