SOMMARIO
Le malattie del sistema circolatorio continuano ad essere la prima causa di morte in Italia e in Europa. Ma la ricerca medico-scientifica segna passi avanti. Al centro di alcune sperimentazioni ci sono i fibroblasti, cellule che in futuro, perfezionata la procedura, potranno rigenerare un tessuto cardiaco danneggiato in seguito a un infarto. Due ricerche hanno invece affrontato rare malattie, come la sindrome di Barth e la Cpvt (tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica), aprendo adesso la possibilità di iniziare studi clinici su pazienti
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Continua a fare passi avanti la ricerca scientifica anche sulla frontiera delle malattie cardiovascolari che, in Italia, risultano essere la prima causa di morte. Come registrato dall’Istat, nel 2012, su 613.520 decessi, oltre 230.000 sono infatti stati causati da malattie del sistema circolatorio, con le malattie ischemiche del cuore in testa (75.098 decessi). Le ricerche portate avanti in questo campo risultano quindi di fondamentale importanza. E, se le aspettative di vita aumentano, è sicuramente anche per meritano di questi progressi.
Un gruppo di ingegneri del College of Engineering dell’Università del Michigan ha pubblicato sulla rivista Scientific Reports uno studio che dimostra come le cellule del tessuto cicatriziale siano state trasformate in colonie di cellule cardiache battenti. Procedura che, una volta perfezionata, potrà in futuro rigenerare un tessuto cardiaco danneggiato. Le cellule di cui si sono serviti i ricercatori sono fibroblasti ottenuti da embrioni di topo, convertiti in cellule muscolari, dopo averli infettati con un virus che trasporta geni espressi dalle cellule staminali.
I fibroblasti sono stati al centro anche dello studio descritto su Nature e condotto dai ricercatori della facoltà di medicina dell’University of North Carolina, giunto alla conclusione che le cellule sono in grado di trasformarsi in cellule endoteliali e di ridurre i danni causati da un infarto, fornendo ossigeno e sostanze nutritive alle parti danneggiate. Non solo. Gli studiosi hanno infatti individuato anche un “interruttore ripara-cuore” guidato da una proteina anti-tumore (la p53) in grado di ridurre in modo significativo le cicatrici e di migliorare la funzione del cuore che ha subito l’infarto. Prodotto della ricerca anche un farmaco sperimentale chiamato Rita utilizzato nei topi infartati per un paio di giorni, ottenendo risultati sorprendenti.
È invece italiano, dell’Istituto di ricerca della Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia, lo studio che ha messo a punto la terapia genica per curare la Cpvt, la tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica, una malattia rara, ereditaria, difficilissima da diagnosticare che uccide in maniera fulminante arrestando il cuore, in seguito a un forte stress o una forte emozione. Il metodo della ricerca, pubblicata su Circulation, è partito dal fatto che i pazienti affetti da questa malattia, presentando mutazioni nel gene della calsequestrina (CASQ2), non producono una proteina cardiaca, la calsequestrina appunto.
La sperimentazione si è quindi concentrata sull’aumentare i livelli della proteina mancante, con risultati che aprono adesso le possibilità per procedere con uno studio clinico. Sorprendente, per i ricercatori, scoprire che gli stessi risultati riscontrati nei topi neonati sono stati osservati anche negli esemplari adulti, aspetto che in futuro permetterà di trattare pazienti la cui malattia viene diagnostica in età adulta.
Ha visto la collaborazione tra l’Harvard Stem Cell Institute, Harvard School of Engineering and Applied Sciences, Harvard Medical School, Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering e Boston Children’s Hospital, il lavoro pubblicato sulla rivista Nature Medicine e che apre nuovi approcci di studio alla sindrome di Barth, patologia causata dal difetto di un gene che produce la proteina Tafazzina, che regola il funzionamento delle cellule cardiache, oltre a quelle della muscolatura scheletrica. I ricercatori di questo studio hanno coltivato il tessuto del cuore malato su un chip, partendo dalle cellule prelevate da due pazienti affetti dalla sindrome, trasformate poi in staminali.
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Il chip è stato ricoperto con proteine umane in grado di simulare l’ambiente naturale del cuore, fino a ottenere un lembo di tessuto cardiaco coerente con quello dei bambini affetti dalla patologia, cioè con una limitata forza nel contrarsi. Iniettando la Tafazzina nelle cellule, i ricercatori hanno riscontrato che il difetto di contrazione guariva, potendo così analizzare altri difetti causati dalla sua mancanza. La ricerca prodotta renderà quindi più efficaci gli studi sui meccanismi che regolano la malattia, con la possibilità di testare anche più farmaci contemporaneamente.
È stato infine messo a punto da un gruppo di ricercatori della Northwestern University di Evanston e della University of Illinois di Urbana-Champaign, un cerotto wireless ultra sottile. Lo studio, descritto sulla rivista Nature Communications, ha prodotto un dispositivo direttamente applicabile sulla pelle con la funzione di monitorare la salute del cuore 24 ore su 24, rilevando diversi parametri, tradotti poi in informazioni mediante specifici algoritmi. Il cerotto, grande 5 cm² e composto da 3600 cristalli liquidi, ha una sottigliezza e una flessibilità che lo rendono molto simile alla pelle, rendendolo meccanicamente invisibile.
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