SOMMARIO
È uno dei temi che più affascina la ricerca: contrastare l’incombere e l’avanzare della vecchiaia. Evitare l’invecchiamento non è fattibile, ma studi e sperimentazioni si avvicinano sempre più ai segreti e ai processi che lo regolano, escogitando metodi per arginarne il più possibile problematiche e dolori. C’è la proteina GDF-11, scoperta da un italiano, in grado di far tornare indietro le lancette del cuore. Lo studio di Harvard che ringiovanisce di 40 anni le fibre muscolari. E gli esperimenti sui geni che regolano il consumo energetico, in grado di allungare la vita fino a 5 volte
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La vita media si allunga più velocemente di quanto si creda, un merito che va riconosciuto innanzitutto ai progressi che la ricerca medico-scientifica ha compiuto nel corso dei decenni, ma anche al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, a una dieta più sana ed equilibrata, e alla tendenza di mantenersi in forma, attivi e di curare il proprio corpo, anche in età più avanzate. Senza tralasciare la causa principale che, nel corso dei secoli, ha permesso la costante estensione delle prospettive di vita: la diminuzione persistente e significativa della mortalità infantile, primo sensore delle condizioni di benessere di una società.
Gli italiani, il popolo tra i più longevi in Europa e nel mondo (i centenari e più superano i 16.000 individui), hanno guadagnato circa 30 anni in appena un secolo. E il fenomeno non sembra certo arrestarsi: come ha sottolineato James W. Vaupel, direttore esecutivo dell'Istituto Max Planck per la ricerca demografica, i nati nel 2000 hanno un’aspettativa di vita intorno ai 100 anni, che sale ai 103 per i nati nel 2005 e sfiora i 104 per i nati nel 2010.
Dopo aver allungato le aspettative di vita, ora, l’obiettivo della scienza, è quello di migliorarne la qualità.
Gli sforzi della comunità scientifica per indagare il tema della longevità e approdare a rimedi concreti per arginare e alleviare le sofferenze legate alla vecchiaia, si diramano principalmente in due direzioni. La prima intende combattere l’infiammazione dei tessuti, causata dalla perdita di efficienza da parte delle cellule nello smaltimento dei rifiuti; la seconda si focalizza sul metabolismo e sui geni che regolano il consumo energetico dell’organismo, con studi effettuati sui mammiferi in grado di dimostrare che la sua riduzione, quindi una restrizione calorica, comporterebbe un allungamento della vita.
Of analizza più da vicino queste sperimentazioni.
Le ultime ricerche
I ricercatori americani dei National Institutes of Health, hanno scoperto un gene della longevità, che, modificato, allungherebbe la vita media del 20% a un gruppo di topi, il che equivale a 16 anni guadagnati per un uomo di 79 anni.
Il gene in questione, modificato in laboratorio, è mTor, coinvolto nel metabolismo e nell’equilibrio energetico. Gli organi e i tessuti dell’animale, però, non sono stati tutti influenzati con le stesse modalità: infatti nonostante i topolini “matusalemme” disponevano di una memoria e un equilibrio migliori rispetto ai compagni, le loro ossa invecchiavano più velocemente e mostravano una maggiore fragilità in età avanzata. Secondo uno degli autori, Toren Finkel, la ricerca, pubblicata sulla rivista Cell Reports, raccoglierebbe importanti dati al fine di approfondire le terapie riguardati malattie che coinvolgono organi specifici, come l’Alzheimer, considerando però che saranno fondamentali ulteriori studi sui topi e sulle cellule umane.
I geni coinvolti nel consumo energetico sono protagonisti anche nello studio condotto dal Buck Institute for Research on Aging, in California, dove gli studiosi hanno modificato due geni del verme appartenente alla specie C. Elegans: Iis e Tor. Nel corso di ricerche precedenti, il primo, che regola il funzionamento dell’insulina, aveva mostrato un’estensione di vita del 30%, mentre il secondo, che ha la funzione di seguire la crescita cellulare in base all’energia disponibile, era stato in grado di prolungarla fino al 100%. Mutandoli entrambi, i ricercatori, che si aspettavano un esito del 130%, hanno ottenuto un risultato sorprendente, registrando un allungamento del 400-500%. Ciò significa che i vermi modificati avevano delle prospettive di vita di 4/5 volte superiori rispetto al normale.
Come per la precedente ricerca effettuata sui topi, la sperimentazione ha dimostrato il ruolo fondamentale dei geni legati al consumo energetico e all’apporto calorico, nello studio della longevità. Quella incentrata sul metabolismo è una delle vie che la scienza sta percorrendo per indagare i processi dell’invecchiamento, ricercando ad esempio farmaci in grado di rendere possibile la restrizione calorica senza dannose complicazioni che si riscontrerebbero altrimenti in un organismo portato a regimi di carestia alimentare.
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Rimanendo in tema di consumi energetici e restrizione calorica, una nuova ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Communications, condotta dal National Institute on Aging di Baltimora e guidata da Rafael de Cabo, ha reso note le proprietà anti-invecchiamento della metformina, una pillola utilizzata da chi è affetto da diabete di tipo II. Il medicinale, somministrato a piccole dosi sui topi, avrebbe ridotto la velocità dell’invecchiamento cellulare, prolungando così la vita degli animali del 5%, replicando sull’organismo l’effetto di restrizione calorica estrema. Si è osservato che il regime ipocalorico, oltre ad essere la causa di una maggiore longevità, favoriva anche una più forte resistenza alle malattie, un aspetto sano e giovanile e il mantenimento più prolungato nel tempo delle capacità fisiche e mentali dei topolini.
Invece, il segreto della giovinezza del cuore è racchiuso in una proteina che circola nel sangue, scoperta dal giovanissimo medico casertano Francesco Loffredo circa 4 anni fa, in grado di invertire alcuni effetti legati all’avanzare dell’età sull’organo cardiaco. A pubblicare la ricerca, sulla rivista Cell, sono i ricercatori dell’Harvard Stem Cell Institute, guidati da Richard T. Lee e Amy Wagers, sicuri che i benefici riscontrati potranno, in futuro, rivelarsi importanti per curare l’insufficienza cardiaca nei pazienti anziani. Gli autori della ricerca pensano infatti che la scoperta possa rivelarsi utile nel prevenire e curare malattie legate all’invecchiamento. Lo studio ha visto somministrare a un gruppo di topi anziani la sostanza (GDF-11), riscontrando poi nel loro cuore una somiglianza rispetto a quello degli esemplari più giovani. Test clinici potrebbero iniziare in quattro-cinque anni.
Guarda il video (in inglese) sulla proteina in grado di ringiovanire il cuore
E se fosse possibile, a 60 anni, avere i muscoli di un ventenne? Uno studio della Harvard Medical School di Boston, pubblicato sulla rivista Cell, ha riportato all’età di 20 anni, fibre muscolari di circa 60 anni di età, aumentando a un gruppo di topolini i livelli di Nad, sostanza chimica presente nelle cellule, la cui quantità diminuisce al passare del tempo. La ricerca si è concentrata sui mitocondri, i quali producono l’energia necessaria per svolgere diverse funzioni cellulari, tra cui quella del movimento. Quando la comunicazione tra mitocondri e nucleo cellulare si blocca, inizia l’invecchiamento. In questo senso la molecola Nad riveste, nel prevenire la problematica, un ruolo fondamentale. Il meccanismo scoperto, però, non è in grado di rallentare tutti gli altri aspetti implicati naturalmente e inevitabilmente nel processo dell’invecchiamento. L’elemento davvero importante della scoperta è quello di aver dimostrato come alcuni procedimenti coinvolti con l’avanzare dell’età siano reversibili. Intanto gli studiosi puntano a test clinici entro il 2015, con lo scopo (e la speranza) di creare una cura dedicata alle persone anziane.
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